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Isola Ischia - Ischia Island
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Archeologia

Bianco, rosa pastello, giallo canarino, e azzurro sono i colori mediterrani che impreziosiscono le pareti esterne delle abitazioni ischitane, contraddistinte da un'architettura fortemente legata agli eventi naturali e alle varie epoche.

Terremoti ed eruzioni vulcaniche hanno comportato la distruzione e conseguentemente la ricostruzione dell'isola, come testimoniano le zone rurali formate da case scavate nel tufo, affiancate da palazzi signorili del Seicento. La copertura dei tetti delle case rurali era ricavata da un'impasto di pozzolame, calce e lapilli, fuoriusciti durante una eruzione.

Le case di pietra dell'isola d'Ischia sono la massima espressione dell'arte dei contadini isolani, capaci di trasformare in abitazioni i grandi massi rotolati del Monte Epomeo, difese dall'attacco dei saraceni, per mezzo di un dispositivo di guardia realizzato da un masso piramidale su cui erano scolpiti ripidi gradini. Peculiari sono anche le mura intorno alle case, denominate "parracine" costruiti con pietra a secco, le cisterne scavate nella roccia, dotate di ingegnosi sistemi di canalizzazione dell'acqua, e le cantine realizzate al di sotto delle abitazioni dotate di "ventarole", tipico sistema di aerazione. Le case di pietra tipiche dell'isola possono ammirarsi presso Cuotto, Ciglio, in località Fango, all'Epomeo ed a Montecorvo a Forio.

I terremoti, le eruzioni, ed il bradisismo hanno però spesso cancellato le tracce delle antiche civiltà che hanno insediato l'isola d'Ischia, prima colonia della Magna Grecia in Occidente. Le testimonianze del VII secolo a.C. sono oggi collocate a 8 metri sotto il livello del mare, mentre la cittadina romana di Aenaria è sprofondata nelle acque antistanti la Baia di Cartaromana a causa di un terremoto.

Gli ormeggi degli Angioini si trovano nelle acque, l'eruzione e la colata lavica del 1301 hanno spazzato via l'antica città di Geronda.

ArcheologiaGrazie agli scavi archeologici condotti nel 2004 presso Punta Chiarito (Scannella) a Forio, sono stati riporti alla luce una fattoria con varie casette per l'alloggio degli animali, appartenuto ad un villaggio di pescatori e agricoltori databile tra l'VIII e il VI secolo a.C..

Nel versante nord-occidentale dell'isola d'Ischia presso la Valle di San Montano è stata riportata alla luce una Necropoli, usata per un millennio come luogo di sepoltura, dalla metà dell’VIII secolo a.C. al III secolo d.C.
Diversi sono i tipi di sepolture, in particolare ci soffermiamo sulla cremazione, impiegato sui corpi degli adulti, di cui la tomba è del tipo a tumulo, con piccoli cumuli di terra nera che ricoprono la fossa, al cui interno sono contenuti frammenti di ossa cremate, vasi ed ornamenti personali e legno carbonizzato.
Il rito dell'inumazione, mentre, era riservato ai bambini e fanciulli, e correlata tomba a fossa ospitava una cassa di legno entro cui era adagiato il defunto ed i relativi corredi, chiusa da un coperchio sopra al quale venivano deposte delle pietre. Diversamente i neonati venivano inumati a enchytrismos, ossia deposti in anfore.

Tutte le tombe appartengono a famiglie di ceto medio, distinte da quelle delle famiglie di livello medio-alto perchè ospitano ornamenti di argento, ed in ultimo da quelle di livello medio-basso con ornamenti in bronzo.

A partire dalla seconda metà del V secolo a.C. la tecnica di sepoltura è quella della cremazione ed inumazione per bambini e adolescenti.

Altro cambiamento nel rito funerario avviene nel IV secolo, quando l’isola passa sotto il controllo di Neapolis, ed i corpi degli adulti vengono inumati e la tomba di famiglia viene costruita con blocchi di tufo; si osservi che nelle sepolture maschili sono stati riportati alla luce le strigile di ferro, mentre, in quelle femminili oggetti di toilette.

Povere sono le tombe romane con corredo composto da un boccalino, una lucerna e qualche chiodo.

Durante gli scavi archeologici in località Valle di San Montano, è stata riportata alla luce la Coppa di Nestore, un Kotyle con iscrizione graffita in versi, importata da Rodi e databile intorno al 725 a.C.. L'oggetto, ricomposto dei suoi minuscoli frammenti da Giorgio Buchner, presenta nella parte inferiore un'iscrizione in versi in cui si allude alla coppa di Nestore descritta da Omero nell'Iliade, e l'omonimo incisore pithecusano ritiene che la sua coppa di argilla sia più pregiata dell'orificeria micena.

"Di Nestore ... la coppa buona a bersi. Chi beva dalla coppa di costui, subito lui prenderà desiderio d'Afrodite dalla bella corona"

 

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